Friday, July 28, 2006

i costi del low cost

I costi del low cost.
La rivoluzione low cost ha più una decina di anni, ma solo negli ultimissimi il fenomeno ha avuto una tale espansione da essere divenuto non una mera alternativa a dei viaggi più cari ma un elemento insieme destrutturante e strutturale. Perché i viaggi low cost sono tali e quali a quelli più cari, a meno dei discutibili spuntini aeronautici che ora vengono pagati a parte. Tutte le altre compagnie hanno dovuto rivedere a fondo le loro politiche di vendita. Il Low cost ha aggravato la ormai trentennale crisi dell’Alitalia rimasta strozzata tra i privilegi incancreniti e tempi di reazione degni di un dinosauro più che di un boeing. La compagnia di bandiera si muove nel solco della miglior tradizione dirigenziale della penisola e non stupisce come non abbia maturato ammortizzatori anti crisi nei molti decenni di monopolio in cui un biglietto Milano Roma costava quanto un cappotto in cachemire. Diversamente la Meridiana, che ha sì dovuto snellire la sua politica di costi e servizi, ma senza creare casi sociali o aspre lotte sindacali, giovandosi invece di un ventennio di fatturazioni positive e di aerei di proprietà. Poteva sopravvivere bene la Volare che a livello operativo era sempre stata dinamica e competitiva e che si era trasformata in brevissimi tempi in Volare.Web abbattendo prezzi di agenzia e dei biglietti in formato IATA, ma la sua dirigenza ha inteso seguire un'altra flagrante tradizione peninsulare. Nel complesso i prezzi sono circa un quarto di quelli della fine dello scorso millennio e forse nessun mercato può vantare un simile corsa al ribasso. (Questa media va un po’ guastandosi in grazia del fatto che sui famosi prezzi stracciati gravano una duplicazione recente delle tasse statali e un corrispondente raddoppio di cosiddetti Surcharge di compagnia che non compaiono nelle tariffe pubblicizzate e che l’occhio distratto attribuisce ad altre tassazioni statali). Nelle file sempre più lunghe ai check in la gente ha però il tempo di chiedersi dove si sono trovati i margini di questi ribassi? Non costano sensibilmente meno né gli aeromobili né i carburanti. Resta piuttosto infondato il timore che sia la sicurezza ad essere direttamente sacrificata (più avanti definiremo la sdruciola misura dell’avverbio). Mentre l’inosservanza di norme in un biscottificio può provocare delle multe, una compagnia ha davanti a sé la prospettiva di un disastro aereo, che persino per il più sprezzante affarista significano inabissamento dell’ immagine e del fatturato in tremende vicende penali. E’ stato piuttosto grazie a politiche di gestione innovative che alcune compagnie hanno spiazzato il mercato offrendo servizi quasi uguali a quelli delle vecchie signore dei cieli: vendita via Web, l’utilizzo di aeroporti decentrati e meno cari, ricerca di rotte migliori, nuovi bacini di traffico turistico, ridimensionamento degli stipendi degli equipaggi( ma davvero c’era buon margine per farlo senza creare agitazioni nel settore, tranne tra coloro cresciuti tra i privilegi dell’ancient regime aeronautique.) La Ryanair, agguerrita apripista di ogni politica low cost, ha assunto in pochi anni le dimensioni di una compagnia di bandiera e punta a superare giganti come l’AirFrance. La Sicilia ha un rapporto speciale con il modo aeronautico e ha già una sua storia personale con il mondo low cost. La realtà isolana ha visto negli ultimi 10 anni un considerevole numero di tentativi, più o meno dolosi di decolli di compagnia. L’AirSicilia, paradossalmente, è la più famigerata, proprio perché durò circa sette anni, ovvero ha avuto il tempo per distribuire a tutti gli abitanti dell’isola un record di disservizi, ma pure abbastanza a lungo da escludere che fosse, per lo meno in principio, l’ennesimo colpaccio della banda del buco. Anche se alla fine un buco di svariati miliardi è ciò che ne rimase. Il fondatore dell’Air Sicilia fu tuttavia all’avanguardia in quelle intuizioni che avrebbero permesso il crollo delle tariffe, per esempio la creazione di una scuola di volo che immettesse nel mercato un numero di brevetti tale da deprimere le richieste esose della corte dei piloti. Chissà, se una sistematicità un po’ british avesse temperato la rapsodica creatività affaristica della compagnia di Caltagirone. La risposta all’ipotesi sembra per una volta essere sotto gli occhi: la compagnia catanese WindJet, nata l’estate del 2003 ha avuto una crescita repentina ed è oggi la quarta compagnia nazionale. Il suo fondatore Nino Pulvirenti vanta già ampi margini di attivo. L’intuizione di un mercato con ampi margini di crescita, probabilmente legata ad un’insospettabile liquidità dell’affarista di Catania, hanno sventato la tradizione che vuole che circa i primi 5 anni di attività nell’aeronautica civile siano destinati all’ inserimento nel mercato e almeno altrettanti all’ammortamento del capitale investito. Al di là dell’importanza che una realtà imprenditoriale siciliana abbia preso un posto così visibile nel panorama nazionale, di grande interesse è l’indotto che con essa viene alla riqualificazione economico strutturale dell’isola. Non piani né promesse politiche, non grandi opere né appendici industriali (esternalizzazioni) di grandi gruppi come quelli che guastano le coste di Isola delle Femmine e di Termini Imerese. Ma un’ azienda di servizi che porta turismo, fortemente concorrenziale, che obbligherà i Grandi elettori del destino isolano ad accelerare la creazione di aeroporti minori, contrastando così le due conurbazioni dell’isola ed incrementando le comunicazioni sul territorio. E che contribuirà ad aumentare l’eticità che ogni gestione di servizi al turista implica, foss’anche solo la pulizia delle spiaggie, la rivalutazione dei centri storici da parte di realtà alberghiere. Il low cost ha però altri prezzi, come ogni tsunami di libera concorrenza in mercati immaturi come quello italiano, da sempre confusi ed incoerenti sui limiti del controllo e dell’ intervento istituzionale. Il gioco al ribasso innescato alle compagnie e trasmesso ai gestori aeroportuali( le società che gestiscono la struttura per commessa statale) e agli handler( le società “inquiline” che offrono servizi aeroportuali, dal centraggio aereo al lost and found passando per servizi di check in, di biglietterie e di movimentazioni di cargo e passeggeri sottobordo) ha provocato un tardiva corsa all’adeguamento strutturale, all’adeguamento di normative comunitarie, al riesame della contrattualistica di settore. In questo senso l’ENAC fa un costante esercizio per defilarsi dalle notizie, ma come ente di controllo è sempre più al centro delle battaglie “aeree”. Al Falcone e Borsellino l’estate scorsa e quella precedente furono gli operai Gesap ad incatenarsi accusando la società entrante Pae Mas di applicare contratti che furbescamente eludevano norme di settore dandogli seri vantaggi concorrenziali e causando quindi esuberi in Gesap. accusando l’Enac di non intervenire. Sicuramente anche delle logiche di parte presiedettero a quelle accuse, in un ambiente che del lavoro fa merce elettorale e che teme la concorrenza come la fine o per lo meno la complicazione di vari trastulli politici. Ma qualche fondamento c’era se all’inizio di quest’altra stagione sono stati invece i lavoratori Pae Mas ad incatenarsi nella sala accettazione dell’aeroporto di Punta Raisi, puntando il dito contro una dirigenza che rifiuta platealmente la parte normativa del contratto Assoaeroporti, (finalmente rinnovato sette mesi fa). Tale parte normativa assicurerebbe un numero di dipendenti correlato al traffico gestito, percentuali precise tra contratti indeterminati part time e a tempo e obbligo di riallocazione delle risorse umano. In effetti è certo che pur fronteggiando un incremento continuo del lavoro per numero di compagnie gestite e per l’arrivo della stagione turistica, la Pae Mas non ha rinnovato numerosi dei contratti scaduti, portando così a sovraccarico di lavoro che certo penalizza sia chi dà che chi riceve il servizio. E’ lecito chiedersi se tale politica, soprattutto applicata a compagnie che ormai hanno ridotto al minimo i tempi di transito ed esaltato le esigenze di puntualità, non vada qui si ad intaccare la sicurezza. Rieccoci al quesito già formulato. Il low cost non si basa certo su un diretto inviluppo degli standard di sicurezza. Ma una burrascosa revisione del settore certamente non aiuta chi lavora e chi controlla a tenere ferme le redini di certi standard. Una percentuale in aumento del numero dei bagagli smarriti è uno degli effetti, molto gravi eppure ancora minori in considerazione di quelli possibili.

Rido ma mi fido del Grillo che grida


E’ stato scritto molto sugli sviluppi libertari che sarebbero giunti con l’uso del WEB, strumento infinitamente migliore degli altri per creare una conoscenza comune, universale, rapida ed economica; al punto da polverizzare i prezzi di molti servizi che prima erano a carico nostro: agenzie, enciclopedie, alberi, benzina, file agli uffici, musica etc…. Dando una bella scossa anche allo status quo delle potenze che fino a oggi hanno regolato i mercati della produzione. Tuttavia le società non hanno una predisposizione al miglioramento rapida come, per esempio, l’acqua a seguire le linee di pendenza. Diceva Solzenitszyn all’ epoca della caduta del muro che l’est non avrebbe beneficiato in principio del progresso reale ma sarebbe stato invaso solo dai rivoli sporchi del capitalismo globale. Mc Donalds, armi, turismo sessuale. Profezia avverata.La stessa osservazione si poteva fare sul Web, che è in sé la caduta di mille muri. La rete ha dapprima dato il peggio di sé, servendo quasi da appendice ipertrofica e miracolosa a quegli 144 e co. che un Grillo troppo parlante aveva denunciato (ricavandone molti anni di fastidi giuridici ed un ostracismo ventennale dalla tv pubblica) con la profferta brulicante ed invasiva di sex money e trends vari, quando non di vere e proprie truffe, insinuantesi nel nostro tempo telematico. Era ovvio insomma che quelli che già erano i professionisti del consenso istintuale si trovassero pronti prima degli altri a sfruttare le vie infinite del WWW. Il progresso si sa è necessariamente lento, poiché esso non è una scoperta in sé, per esempio dell’auto ad idrogeno, ma solo la sua applicazione su larga scala. La parola progresso ha quindi un legame imprescindibile con la democrazia applicata. E’ un consenso educato che rivaleggia contro centinaia di consensi istintuali. Quindi ha bisogno di catalizzatori ed archivi che permettano un accumulo dei risultati, ovvero di non ripartire ogni giorno dal punto di partenza. Questo magniloquente incipit sociofilosofico sembra ineludibile per parlare di un certo comico divenuto catalizzatore sociale di ciò che abbiamo chiamato consenso educato: il signor Grillo. La sua biografia è nota, la sua reputazione pure. Si dica solo che in un paese dove infangare è uno sport ben rodato e diffuso, egli, pur facendosi parecchi nemici, anzi davvero tanti e tutti titanici, è uscito pulito da ogni scontro. Egli da parecchio tempo ha trasceso i suoi confini di comico, perseguendo uno scopo che qualcuno, poco ferrato nel ruolo della satira, potrebbe indicare come un vero conclamato conflitto di interessi: infatti se apparentemente riesce ogni giorno a incendiare di risate i palazzetti d’Italia, tuttavia si vedono uscire fiumi di persone inquinati da un senso di tristezza e rabbia. Da più vent’anni egli ha un crescendo, perché egli è un database che accumula conoscenza, è un hardware che migliora di giorno in giorno l’uso di software e periferiche. Se la sua carica umoristica non è una novità, egli porta con sé sempre cose nuove, e le sue cose più datate non invecchiano perché rovistano nella soffitta dei problemi irrisolti. Così si esce dai suoi spettacoli con l’idea di vivere in un paese soffitta. Ciò detto, quale poteva essere quindi il frutto dell’incontro del signor Grillo con il Web? Questo strumento certamente democratico ha offerto al nemico nr. 1 dell’144 un appendice altrettanto miracolosa alla propria attività di sentinella sociale. Il suo consenso ha trovato un misuratore fedele e che dà in tempo reale, giorno per giorno, il resoconto del suo lavoro e della sua audience. In un tempo in cui si discute assai di quanto avere il controllo di televisioni assicuri il potere fa riflettere la prova di forza di uno che grazie alla propria reputazione, allontanato dalla TV pubblica, ha sbaragliato tutti nella classifica dell’audience attiva che ogni giorno entra in rete alla ricerca di informazioni meno filtrate dai sistemi di potere. Il Blog di Grillo, aperto poco più di un anno fa, è il primo in Italia, di gran lunga più visitato e con un numero di iscritti molto maggiore del secondo, che è quello di Repubblica, ovvero del quotidiano più venduto e autorevole del paese. Un quotidiano è di per sé un contenitore di informazioni e ha al suo servizio centinaia di produttori di notizie quindi non dovrebbe esserci discorso. Non è finita qui. Non poteva il signor Grillo non cercare di risolvere il suo conflitto di interessi, ovvero quello spacciare tramite risate un depresso senso di impotenza. Non poteva lasciare i nostri cuori in soffitta. Le parole senza i fatti sono aria fritta. Quindi egli in prima persona ha intrapreso delle vere e proprie battaglie, una dopo l’altra come Orazi e Curiazi. Battaglie concrete ed importanti, come quella per riacquistare il potente microscopio necessario a due ricercatori scomodi ed indipendenti per individuare nei nostri cibi i corpuscoli PM05, ovvero gli unici accertati elementi tumorali, differenti dai PM10 che si individuano tramite i rilevatori di inquinamento e che in realtà vengono espulsi più facilmente tramite secrezioni. Ma c’è di più, molto di più, c’è l’invasione dei grilli: dal suo blog si è sviluppata un infiorescenza sorprendente di gruppi, a centinaia, ogni centro urbano ne ha uno, molte città ne hanno più di uno: sono gli amici di Grillo e creano discussioni, incontri, iniziative; essi scendono nell’agorà virtuale ma anche per le strade, parlano di leggi truffa, di energia pulita, di commercio intelligente e di etica politica. Parlando di cose reali essi riscattano alcune parole che dai tempi della Grecia antica ha perso parecchio mordente e altrettanta reputazione, essi fanno Politica, esprimono Democrazia. Non ci eravamo abituati, stavamo finendo col pensare che solo una potente operazione commerciale poteva creare un consenso così rapido, entusiastico e dilagante. Ma bastano le risate a spiegare il fenomeno Grillo? No, c’è qualcosa di più. Poiché una delle molle che Mr Grillo, da buon genovese, innesca rispetto ai tanti movimenti sociali, ecologisti, equo solidali, di volontariato e così via, è che non si appella tanto al sacrificio, alle nostre rimesse per salvare una metà del mondo malata, ad una rinuncia generale, non invoca solidarietà pagata con un calo del benessere. Anzi, Grillo insegna che questo sistema socio politico economico sanitario per come è fatto ci deruba, ci avvelena e ci istupidisce. Possiamo essere più ricchi con meno problemi, con meno scorie nei mari e sulla coscienza se solo impariamo a tenere d’occhio le dinamiche di mercato e di circolazione delle informazioni. Sono meccanismi meno complicati di ciò che sembra e se vogliamo davvero chiamare liberismo quell’intreccio affaristico che li ha creati allora il liberismo non è affatto auto regolamentato. Al contrario è un bambino pigro, ingordo e pasticcione. Quale speranza hanno organizzazioni come l’Unesco, Greenpeace o Amnesty nel ridestare le coscienze se non capiamo neppure che il nostro farmacista, il sindaco e il nostro consulente economico ci raccontano fiabe ben memorizzate? Se le reclam diventano l’ottanta per cento di ciò che crediamo di sapere?

Bernardo Provenzano e altri ricottari

Hanno catturato Bernardo Provenzano. Ho sentito che era il Ricercato Nr 1 al mondo (Rn1); pensavo fosse Bin Laden, poco importa. Chissà però che l’entusiasmo istituzionale derivi anche dall’allegra prospettiva che attorno al 2041 si catturi anche la pecora nera di quella famiglia di petrolieri soci di casa Bush. Sarebbe circa l’epoca in cui finirà il petrolio, che è il movente, dicono i maligni, sia delle pecore bianche che di quelle nere. In quel caso l’ottantenne Bin Laden sarebbe da considerare non arreso alle armi ma consegnato dalla storia (e dagli acciacchi?), come furono Berlino Est o i crimini di Stalin. In barba ai billions dollars spesi in armi. A questo proposito alcuni dicono che anche Mr Provenzano sia in qualche modo stato consegnato dalla storia. Cioè che non sia più il Capo dei capi, oppure che altri capi lo abbiano “posato”. E’ questa ad esempio l’opinione di Andrea Camilleri, siciliano doc la cui lucidità è difficile da mettere in discussione. Speriamo che sbagli, in fondo costruisce ipotesi per mestiere.

Anche mio cugino ama le ipotesi. La sua è che egli si è lasciato prendere perché non ce l’ha fatta più, continuava a vedere quel suo Identikit e diceva, sprezzante: “nu mmi sumigghia ppè gniente”. Effettivamente, volendo fare un po’ di fisionomica dobbiamo dire che la struttura ossea era la stessa, ma l’espressione non ci azzeccava proprio. Sbagliando l’espressione avevano anche peccato di ingenuità. Nell’identikit vediamo la ferocia espressa tipica di uno scagnozzo che vive e muore come mano armata di qualche clan, un espressione animale. Nell’originale vediamo una ferocia molto meno superficiale, l’espressione di una mente sufficientemente articolata per escogitare i circoli viziosi in cui si è lucidi e nel contempo assassini, distruttori e architetti. Insomma niente di animale, tutta roba molto umana.
In definitiva è impossibile per noi, vittime di ogni mitologia mediatica, cogliere la pregnanza di questa cattura; ma anche gli investigatori non possono comprenderla appieno se non, forse, con il tempo.
Il proposito di questo
articolo è solo riflettere su alcune cose che sappiamo, di quagliare, per dirla con la lingua del posto. Poiché viviamo tempi confusionali, viviamo in una Guernica mediatica.
1) Innanzitutto si dia per scontato che egli fosse il Male. Mettere in discussione questo porterebbe oltre la fantapolitica, sarebbe Matrix. E quindi dobbiamo credere, pur con tutte le umane sfumature del caso, che dall’altra parte c’è il bene.
2) Sappiamo che lo cercavano da 43 anni. Che l’hanno trovato a 3 kilometri da casa. Che la moglie gli preparava da mangiare e gli dava il cambio di biancheria. Siamo obbligati quindi a pensare che fosse la prima pasqua in 40 anni che intendeva passare in famiglia. Deve essere stata una ben dura astinenza per un Principe di quella cultura che ha tra i suoi capisaldi la famiglia; e chissà quante festività cristiane vissute da fuggiasco, dura prova per il Boss di coloro che hanno sempre infettato la cristianità con la loro virale approvazione. A questo proposito non si ripeterà mai abbastanza di come la storia sia in gran parte l’equivocare e l’abuso umani della parola profetica, al di là che la parola profetica sia divina o anch’essa umana.
3) Forse potremmo leggere in chiave simile un’altra cosa che sappiamo: la presenza dei santini elettorali di Cuffaro, ovvero dichiarando che questi sono la probabile conferma di come il presidente della regione sia uno tra gli uomini più travisati d’Italia. Dell’intero occidente. Non dal suo popolo tutto per fortuna, dal quale ha avuto un riconoscimento elettorale senza precedenti, ma dal gotha della cosiddetta informazione indipendente che si diverte a distruggere ciò che è sacro agli altri con gli strumenti infidi della parola e dell’inchiesta giudiziaria. E qui dobbiamo, a difesa di Cuffaro, contraddirlo con forza. Perchè se dessimo credito all’ipotesi cuffariana che coloro che hanno catturato il Re del Male sono altrettanto maligni, sì da voler macchiare un importante politico di accuse tremendamente più gravi di quelle che furono rivolte a Catilina o di quelle che il senatore McCarty rivolgeva ai suoi bersagli, mille volte più gravi di quelle rivolte al signor Clinton,…allora le conseguenze sarebbero galattiche, la distinzione tra bene e male andrebbe a farsi f…, io potrei senza tema di indecenza pubblicare la parola appena omessa, tutti dovremmo forse ripensare a tutto. Se i giudici dell’antimafia sono delle rabbiose beghine o addirittura sono loro i mafiosi, o se il signor Falcone è morto per una fuga di gas e così il suo collega Borsellino, allora il mazzo andrebbe buttato, la partita sarebbe da riniziare, il signor Provenzano potrebbe per conguaglio d’infamia ricevuta richiedere una bella carica istituzionale e lo stesso Cuffaro, che fece pubblicare il commovente e incredibile messaggio “La Mafia Fa Schifo” avrebbe da ridefinire meglio la posizione dei pianeti che regolano le nostre vite. No, noi vogliamo pensare che abbiano catturato il capo dell’organizzazione criminale più potente al mondo, che lo hanno fatto degli eroi, nella misura in cui all’uomo è dato di essere eroe. E i fac-simile elettorali dell’UDC? Che siano prova, proprio come quella bibbia che è best seller tra i mafiosi, di come il Mafioso, con una perversione più o meno inconscia, abbracci ciò che è più amato perché un po’ di quell’affetto e un po’ del potere che ne deriva gli rimanga appiccicato addosso. Questo vogliamo pensare, Onorevole Cuffaro, perché la storia siciliana dopo che ha frantumato il senso di concetti come onore, famiglia, rispetto, non ceda all’abusivismo linguistico anche la parola Onorevole.

4)Sappiamo anche che il Padrino da qualche giorno almeno, viveva in un casolare in condizioni pietose, il suo maggiordomo era un ricottaro, di quelli che hanno i pentoloni nella Panda. Uno tra gli uomini più potenti al mondo. Non è facile da concepire che quello sia il Boss dei boss. Facciamo attenzione ai rimandi, alcuni assai ingannevoli. Scartiamo il rimando al Re dei Re, nato in una stalla. Abbiamo già detto che non possiamo addebitargli la minima colpa per tutte le volte che compare il suo nome invano tra le umane malizie. Scartiamo anche il rimando, altrettanto impulsivo e capzioso, a quell’altro boss di Porta Nuova, Vittorio Mangano, che lavorava nelle stalle di Arcore, all’insaputa di un indaffarato imprenditore milanese. Solo vada detto che se hanno creduto all’estraneità dei fatti dell’imprenditore forse dovrebbero dare qualche margine di credito anche all’altro padrone di casa, il ricottaro, supponendo che il suo unico crimine sia stato affittare in nero.
Il primo rimando serio ci riporta di nuovo a Bin Laden, che forse vive nelle grotte afgane. Ma un paese è stato invaso per catturarlo, decine di eserciti smossi alla sua ricerca. Inoltre, pur di buona famiglia e di pessime abitudini, egli è da considerarsi un nemico ideologico, come lo fu Fidel Castro per l’esercito di Batista, quindi privazioni e disagi sono le regole meno sporche del suo gioco. Sempre che quel furbacchione non sia in qualche splendida villa ed esca tra le grotte per il neorealismo dei suoi video amatoriali da apprendista profeta. Sappiamo che è persona colta. Come abbiano invece trovato Saddam non fa testo, il suo potere era puramente politico ed egli non ha un quarantennale rodaggio da latitante. Un uomo la cui vita è da prendere come paragone, (anche lui assurto alla carica di RN1, o campione mondiale dei ricercati), fu il biancovestito Pablo Escobar. Pur fuggiasco, braccato dall’ esercito USA, egli era circondato quasi fino alla fine di lussi e uomini armati. Aveva una scorta ingombrante di qualche centinaio di strapagati mercenari. La sua fuga addirittura era ricominciata quando si era scoperto che aveva trasformato la galera in cui era rinchiuso in una dignitosissima dimora. Per inciso si dica che in grazia di quella vittoriosa campagna degli Stati Uniti, secondo osservatorii internazionali, il mercato mondiale della cocaina, passato al Cartello di Cali da quello di Medellin, è quadruplicato in dieci anni. Pure Riina stava pur sempre in una villa a Palermo…
Provenzano lo hanno beccato perchè dava indicazioni sulla regolazione dell’antenna televisiva al suo ricottaro.
Mah, La perplessità rimane. Plumbea. E non si stempera con la spiegazione che i valori di cui la Mafia è fatta, Gerarchia, Territorio, Fedeltà, siano tanto calcificati da mettere in secondo piano le glorie terrene del comando supremo. Non ci piace come spiegazione perché invaliderebbe gran parte di quanto detto finora e il mafioso sarebbe da assimilare a nemico ideologico, una sorta di Robin Hood, come vuole l’ottusità popolare, verrebbe anche da pensare che forse a Corleone lui ci ha passato molte delle pasque da quarant’anni in qua.

5)Infine sappiamo che la cattura è avvenuta in un momento particolarissimo: in quel momento infatti questa era forse l’unica notizia che potesse oscurare l’esito definitivo, avvenuto dieci minuti prima, delle elezioni più aspre e farisee della storia repubblicana. Qualcuno ha pensato che una notizia non oscurasse l’altra ma che si rischiarassero a vicenda, ovvero che i due avvenimenti fossero altrettanti sintomi di un medesimo stato di sgretolamento di uno statu quo malavitoso che in questi anni era assurto a regimi di gloria ed impunità messicane. Pure questo pensiero dà i brividi. Anche se l’ipotesi è fallace la sua stessa esistenza è l’ennesimo segno di come il nostro paese sia reietto dalla normalità.

Ho sentito che era l’Rn1 al mondo ma pensavo fosse quell’altro, poco importa. Forse gli americani ne erano all’oscuro altrimenti per la seconda volta in mezzo secolo avremmo assistito ad uno sbarco in Sicilia, visto che per Rn2 non hanno indugiato. Ma non dobbiamo scadere nella retorica, ricordiamo che in Afghanistan il potere era detenuto da sostenitori del placido signor Laden, e noi non possiamo affermare altrettanto, non possiamo cioè appoggiare a cuor leggero la tesi suggerita da uno dei più autorevoli giornali del mondo quando titola “la fine di un Boss” e vi accosta la foto del Premier sconfitto.