I costi del low cost.
La rivoluzione low cost ha più una decina di anni, ma solo negli ultimissimi il fenomeno ha avuto una tale espansione da essere divenuto non una mera alternativa a dei viaggi più cari ma un elemento insieme destrutturante e strutturale. Perché i viaggi low cost sono tali e quali a quelli più cari, a meno dei discutibili spuntini aeronautici che ora vengono pagati a parte. Tutte le altre compagnie hanno dovuto rivedere a fondo le loro politiche di vendita. Il Low cost ha aggravato la ormai trentennale crisi dell’Alitalia rimasta strozzata tra i privilegi incancreniti e tempi di reazione degni di un dinosauro più che di un boeing. La compagnia di bandiera si muove nel solco della miglior tradizione dirigenziale della penisola e non stupisce come non abbia maturato ammortizzatori anti crisi nei molti decenni di monopolio in cui un biglietto Milano Roma costava quanto un cappotto in cachemire. Diversamente la Meridiana, che ha sì dovuto snellire la sua politica di costi e servizi, ma senza creare casi sociali o aspre lotte sindacali, giovandosi invece di un ventennio di fatturazioni positive e di aerei di proprietà. Poteva sopravvivere bene la Volare che a livello operativo era sempre stata dinamica e competitiva e che si era trasformata in brevissimi tempi in Volare.Web abbattendo prezzi di agenzia e dei biglietti in formato IATA, ma la sua dirigenza ha inteso seguire un'altra flagrante tradizione peninsulare. Nel complesso i prezzi sono circa un quarto di quelli della fine dello scorso millennio e forse nessun mercato può vantare un simile corsa al ribasso. (Questa media va un po’ guastandosi in grazia del fatto che sui famosi prezzi stracciati gravano una duplicazione recente delle tasse statali e un corrispondente raddoppio di cosiddetti Surcharge di compagnia che non compaiono nelle tariffe pubblicizzate e che l’occhio distratto attribuisce ad altre tassazioni statali). Nelle file sempre più lunghe ai check in la gente ha però il tempo di chiedersi dove si sono trovati i margini di questi ribassi? Non costano sensibilmente meno né gli aeromobili né i carburanti. Resta piuttosto infondato il timore che sia la sicurezza ad essere direttamente sacrificata (più avanti definiremo la sdruciola misura dell’avverbio). Mentre l’inosservanza di norme in un biscottificio può provocare delle multe, una compagnia ha davanti a sé la prospettiva di un disastro aereo, che persino per il più sprezzante affarista significano inabissamento dell’ immagine e del fatturato in tremende vicende penali. E’ stato piuttosto grazie a politiche di gestione innovative che alcune compagnie hanno spiazzato il mercato offrendo servizi quasi uguali a quelli delle vecchie signore dei cieli: vendita via Web, l’utilizzo di aeroporti decentrati e meno cari, ricerca di rotte migliori, nuovi bacini di traffico turistico, ridimensionamento degli stipendi degli equipaggi( ma davvero c’era buon margine per farlo senza creare agitazioni nel settore, tranne tra coloro cresciuti tra i privilegi dell’ancient regime aeronautique.) La Ryanair, agguerrita apripista di ogni politica low cost, ha assunto in pochi anni le dimensioni di una compagnia di bandiera e punta a superare giganti come l’AirFrance. La Sicilia ha un rapporto speciale con il modo aeronautico e ha già una sua storia personale con il mondo low cost. La realtà isolana ha visto negli ultimi 10 anni un considerevole numero di tentativi, più o meno dolosi di decolli di compagnia. L’AirSicilia, paradossalmente, è la più famigerata, proprio perché durò circa sette anni, ovvero ha avuto il tempo per distribuire a tutti gli abitanti dell’isola un record di disservizi, ma pure abbastanza a lungo da escludere che fosse, per lo meno in principio, l’ennesimo colpaccio della banda del buco. Anche se alla fine un buco di svariati miliardi è ciò che ne rimase. Il fondatore dell’Air Sicilia fu tuttavia all’avanguardia in quelle intuizioni che avrebbero permesso il crollo delle tariffe, per esempio la creazione di una scuola di volo che immettesse nel mercato un numero di brevetti tale da deprimere le richieste esose della corte dei piloti. Chissà, se una sistematicità un po’ british avesse temperato la rapsodica creatività affaristica della compagnia di Caltagirone. La risposta all’ipotesi sembra per una volta essere sotto gli occhi: la compagnia catanese WindJet, nata l’estate del 2003 ha avuto una crescita repentina ed è oggi la quarta compagnia nazionale. Il suo fondatore Nino Pulvirenti vanta già ampi margini di attivo. L’intuizione di un mercato con ampi margini di crescita, probabilmente legata ad un’insospettabile liquidità dell’affarista di Catania, hanno sventato la tradizione che vuole che circa i primi 5 anni di attività nell’aeronautica civile siano destinati all’ inserimento nel mercato e almeno altrettanti all’ammortamento del capitale investito. Al di là dell’importanza che una realtà imprenditoriale siciliana abbia preso un posto così visibile nel panorama nazionale, di grande interesse è l’indotto che con essa viene alla riqualificazione economico strutturale dell’isola. Non piani né promesse politiche, non grandi opere né appendici industriali (esternalizzazioni) di grandi gruppi come quelli che guastano le coste di Isola delle Femmine e di Termini Imerese. Ma un’ azienda di servizi che porta turismo, fortemente concorrenziale, che obbligherà i Grandi elettori del destino isolano ad accelerare la creazione di aeroporti minori, contrastando così le due conurbazioni dell’isola ed incrementando le comunicazioni sul territorio. E che contribuirà ad aumentare l’eticità che ogni gestione di servizi al turista implica, foss’anche solo la pulizia delle spiaggie, la rivalutazione dei centri storici da parte di realtà alberghiere. Il low cost ha però altri prezzi, come ogni tsunami di libera concorrenza in mercati immaturi come quello italiano, da sempre confusi ed incoerenti sui limiti del controllo e dell’ intervento istituzionale. Il gioco al ribasso innescato alle compagnie e trasmesso ai gestori aeroportuali( le società che gestiscono la struttura per commessa statale) e agli handler( le società “inquiline” che offrono servizi aeroportuali, dal centraggio aereo al lost and found passando per servizi di check in, di biglietterie e di movimentazioni di cargo e passeggeri sottobordo) ha provocato un tardiva corsa all’adeguamento strutturale, all’adeguamento di normative comunitarie, al riesame della contrattualistica di settore. In questo senso l’ENAC fa un costante esercizio per defilarsi dalle notizie, ma come ente di controllo è sempre più al centro delle battaglie “aeree”. Al Falcone e Borsellino l’estate scorsa e quella precedente furono gli operai Gesap ad incatenarsi accusando la società entrante Pae Mas di applicare contratti che furbescamente eludevano norme di settore dandogli seri vantaggi concorrenziali e causando quindi esuberi in Gesap. accusando l’Enac di non intervenire. Sicuramente anche delle logiche di parte presiedettero a quelle accuse, in un ambiente che del lavoro fa merce elettorale e che teme la concorrenza come la fine o per lo meno la complicazione di vari trastulli politici. Ma qualche fondamento c’era se all’inizio di quest’altra stagione sono stati invece i lavoratori Pae Mas ad incatenarsi nella sala accettazione dell’aeroporto di Punta Raisi, puntando il dito contro una dirigenza che rifiuta platealmente la parte normativa del contratto Assoaeroporti, (finalmente rinnovato sette mesi fa). Tale parte normativa assicurerebbe un numero di dipendenti correlato al traffico gestito, percentuali precise tra contratti indeterminati part time e a tempo e obbligo di riallocazione delle risorse umano. In effetti è certo che pur fronteggiando un incremento continuo del lavoro per numero di compagnie gestite e per l’arrivo della stagione turistica, la Pae Mas non ha rinnovato numerosi dei contratti scaduti, portando così a sovraccarico di lavoro che certo penalizza sia chi dà che chi riceve il servizio. E’ lecito chiedersi se tale politica, soprattutto applicata a compagnie che ormai hanno ridotto al minimo i tempi di transito ed esaltato le esigenze di puntualità, non vada qui si ad intaccare la sicurezza. Rieccoci al quesito già formulato. Il low cost non si basa certo su un diretto inviluppo degli standard di sicurezza. Ma una burrascosa revisione del settore certamente non aiuta chi lavora e chi controlla a tenere ferme le redini di certi standard. Una percentuale in aumento del numero dei bagagli smarriti è uno degli effetti, molto gravi eppure ancora minori in considerazione di quelli possibili.
La rivoluzione low cost ha più una decina di anni, ma solo negli ultimissimi il fenomeno ha avuto una tale espansione da essere divenuto non una mera alternativa a dei viaggi più cari ma un elemento insieme destrutturante e strutturale. Perché i viaggi low cost sono tali e quali a quelli più cari, a meno dei discutibili spuntini aeronautici che ora vengono pagati a parte. Tutte le altre compagnie hanno dovuto rivedere a fondo le loro politiche di vendita. Il Low cost ha aggravato la ormai trentennale crisi dell’Alitalia rimasta strozzata tra i privilegi incancreniti e tempi di reazione degni di un dinosauro più che di un boeing. La compagnia di bandiera si muove nel solco della miglior tradizione dirigenziale della penisola e non stupisce come non abbia maturato ammortizzatori anti crisi nei molti decenni di monopolio in cui un biglietto Milano Roma costava quanto un cappotto in cachemire. Diversamente la Meridiana, che ha sì dovuto snellire la sua politica di costi e servizi, ma senza creare casi sociali o aspre lotte sindacali, giovandosi invece di un ventennio di fatturazioni positive e di aerei di proprietà. Poteva sopravvivere bene la Volare che a livello operativo era sempre stata dinamica e competitiva e che si era trasformata in brevissimi tempi in Volare.Web abbattendo prezzi di agenzia e dei biglietti in formato IATA, ma la sua dirigenza ha inteso seguire un'altra flagrante tradizione peninsulare. Nel complesso i prezzi sono circa un quarto di quelli della fine dello scorso millennio e forse nessun mercato può vantare un simile corsa al ribasso. (Questa media va un po’ guastandosi in grazia del fatto che sui famosi prezzi stracciati gravano una duplicazione recente delle tasse statali e un corrispondente raddoppio di cosiddetti Surcharge di compagnia che non compaiono nelle tariffe pubblicizzate e che l’occhio distratto attribuisce ad altre tassazioni statali). Nelle file sempre più lunghe ai check in la gente ha però il tempo di chiedersi dove si sono trovati i margini di questi ribassi? Non costano sensibilmente meno né gli aeromobili né i carburanti. Resta piuttosto infondato il timore che sia la sicurezza ad essere direttamente sacrificata (più avanti definiremo la sdruciola misura dell’avverbio). Mentre l’inosservanza di norme in un biscottificio può provocare delle multe, una compagnia ha davanti a sé la prospettiva di un disastro aereo, che persino per il più sprezzante affarista significano inabissamento dell’ immagine e del fatturato in tremende vicende penali. E’ stato piuttosto grazie a politiche di gestione innovative che alcune compagnie hanno spiazzato il mercato offrendo servizi quasi uguali a quelli delle vecchie signore dei cieli: vendita via Web, l’utilizzo di aeroporti decentrati e meno cari, ricerca di rotte migliori, nuovi bacini di traffico turistico, ridimensionamento degli stipendi degli equipaggi( ma davvero c’era buon margine per farlo senza creare agitazioni nel settore, tranne tra coloro cresciuti tra i privilegi dell’ancient regime aeronautique.) La Ryanair, agguerrita apripista di ogni politica low cost, ha assunto in pochi anni le dimensioni di una compagnia di bandiera e punta a superare giganti come l’AirFrance. La Sicilia ha un rapporto speciale con il modo aeronautico e ha già una sua storia personale con il mondo low cost. La realtà isolana ha visto negli ultimi 10 anni un considerevole numero di tentativi, più o meno dolosi di decolli di compagnia. L’AirSicilia, paradossalmente, è la più famigerata, proprio perché durò circa sette anni, ovvero ha avuto il tempo per distribuire a tutti gli abitanti dell’isola un record di disservizi, ma pure abbastanza a lungo da escludere che fosse, per lo meno in principio, l’ennesimo colpaccio della banda del buco. Anche se alla fine un buco di svariati miliardi è ciò che ne rimase. Il fondatore dell’Air Sicilia fu tuttavia all’avanguardia in quelle intuizioni che avrebbero permesso il crollo delle tariffe, per esempio la creazione di una scuola di volo che immettesse nel mercato un numero di brevetti tale da deprimere le richieste esose della corte dei piloti. Chissà, se una sistematicità un po’ british avesse temperato la rapsodica creatività affaristica della compagnia di Caltagirone. La risposta all’ipotesi sembra per una volta essere sotto gli occhi: la compagnia catanese WindJet, nata l’estate del 2003 ha avuto una crescita repentina ed è oggi la quarta compagnia nazionale. Il suo fondatore Nino Pulvirenti vanta già ampi margini di attivo. L’intuizione di un mercato con ampi margini di crescita, probabilmente legata ad un’insospettabile liquidità dell’affarista di Catania, hanno sventato la tradizione che vuole che circa i primi 5 anni di attività nell’aeronautica civile siano destinati all’ inserimento nel mercato e almeno altrettanti all’ammortamento del capitale investito. Al di là dell’importanza che una realtà imprenditoriale siciliana abbia preso un posto così visibile nel panorama nazionale, di grande interesse è l’indotto che con essa viene alla riqualificazione economico strutturale dell’isola. Non piani né promesse politiche, non grandi opere né appendici industriali (esternalizzazioni) di grandi gruppi come quelli che guastano le coste di Isola delle Femmine e di Termini Imerese. Ma un’ azienda di servizi che porta turismo, fortemente concorrenziale, che obbligherà i Grandi elettori del destino isolano ad accelerare la creazione di aeroporti minori, contrastando così le due conurbazioni dell’isola ed incrementando le comunicazioni sul territorio. E che contribuirà ad aumentare l’eticità che ogni gestione di servizi al turista implica, foss’anche solo la pulizia delle spiaggie, la rivalutazione dei centri storici da parte di realtà alberghiere. Il low cost ha però altri prezzi, come ogni tsunami di libera concorrenza in mercati immaturi come quello italiano, da sempre confusi ed incoerenti sui limiti del controllo e dell’ intervento istituzionale. Il gioco al ribasso innescato alle compagnie e trasmesso ai gestori aeroportuali( le società che gestiscono la struttura per commessa statale) e agli handler( le società “inquiline” che offrono servizi aeroportuali, dal centraggio aereo al lost and found passando per servizi di check in, di biglietterie e di movimentazioni di cargo e passeggeri sottobordo) ha provocato un tardiva corsa all’adeguamento strutturale, all’adeguamento di normative comunitarie, al riesame della contrattualistica di settore. In questo senso l’ENAC fa un costante esercizio per defilarsi dalle notizie, ma come ente di controllo è sempre più al centro delle battaglie “aeree”. Al Falcone e Borsellino l’estate scorsa e quella precedente furono gli operai Gesap ad incatenarsi accusando la società entrante Pae Mas di applicare contratti che furbescamente eludevano norme di settore dandogli seri vantaggi concorrenziali e causando quindi esuberi in Gesap. accusando l’Enac di non intervenire. Sicuramente anche delle logiche di parte presiedettero a quelle accuse, in un ambiente che del lavoro fa merce elettorale e che teme la concorrenza come la fine o per lo meno la complicazione di vari trastulli politici. Ma qualche fondamento c’era se all’inizio di quest’altra stagione sono stati invece i lavoratori Pae Mas ad incatenarsi nella sala accettazione dell’aeroporto di Punta Raisi, puntando il dito contro una dirigenza che rifiuta platealmente la parte normativa del contratto Assoaeroporti, (finalmente rinnovato sette mesi fa). Tale parte normativa assicurerebbe un numero di dipendenti correlato al traffico gestito, percentuali precise tra contratti indeterminati part time e a tempo e obbligo di riallocazione delle risorse umano. In effetti è certo che pur fronteggiando un incremento continuo del lavoro per numero di compagnie gestite e per l’arrivo della stagione turistica, la Pae Mas non ha rinnovato numerosi dei contratti scaduti, portando così a sovraccarico di lavoro che certo penalizza sia chi dà che chi riceve il servizio. E’ lecito chiedersi se tale politica, soprattutto applicata a compagnie che ormai hanno ridotto al minimo i tempi di transito ed esaltato le esigenze di puntualità, non vada qui si ad intaccare la sicurezza. Rieccoci al quesito già formulato. Il low cost non si basa certo su un diretto inviluppo degli standard di sicurezza. Ma una burrascosa revisione del settore certamente non aiuta chi lavora e chi controlla a tenere ferme le redini di certi standard. Una percentuale in aumento del numero dei bagagli smarriti è uno degli effetti, molto gravi eppure ancora minori in considerazione di quelli possibili.